Una visita alla Biennale d'Arte di Venezia è sempre un'emozione incomparabile. Non tanto per la spettacolarità di veder riunita, in un unico e magico posto, come i Giardini di Venezia, l'espressione migliore di quasi novanta Paesi del mondo, ma anche per la capacità di racchiudere in una riflessione universale l'intero sguardo di tanti artisti sui nostri tempi.
È proprio sui tempi che gioca il titolo della manifestazione, equivocando in modo consapevole una frase confuciana – may you live in interesting times – per raccontare i tempi delle sfide e delle complessità degli eventi umani.
Tempi difficili, appunto, come si può vedere dal barcone per migranti che domina, poco prima dell'ingresso ai Giardini, il canale dell'Arsenale. Un'installazione che non si accontenta della banale denuncia o della cronaca, ma che, come sempre accade nell'arte, suggerisce emozioni contrastanti sullo stato del nostro vivere, l'equilibrio delle nostre società, l'incontro con il desiderio e la fragilità dell'animo umano.
La mia passione per l'arte contemporanea e la professione ormai pluriennale di Architetto, mi fanno osservare opere e installazioni con uno sguardo sicuramente diverso, ogni anno carico di nuovi punti di vista. C'è naturalmente sempre la meraviglia di fronte a tanta creatività, tanto più quando espressa in modi quasi monumentali o attingendo a tecnologie e possibilità tra le più innovative del momento.

Successivamente e quasi immediatamente, inizia la mia riflessione su come l'espressività sia legata a doppio filo con il nostro quotidiano, che è per forza di cose fatto di tempi, spazi e funzionalità. L'arte, di per sé, può avere anche i gesti forti di una provocazione, ma questi poi finiscono sempre col dover fare i conti con il possibile e il realizzabile, a partire da quel che si è in quel momento e da come immaginiamo il futuro. Forse è proprio questo che l'Architettura ha in comune con l'Arte Contemporanea: il dialogo costante con la visione e l'immaginazione del mondo. Dal nostro lato di professionisti però, c'è un accento particolare sulla "responsabilità" di questa visione, che deve essere pragmatica nel tradurre questo pensiero "libero" in razionalità di una struttura architettonica che ne rappresenti anche la cultura. Perché in fondo ciò che racconta meglio di ogni altra cosa l'avventura umana dei nostri "interesting times" è, oltre la capacità di osservare e narrare le nostre emozioni e il nostro vivere, una traccia di concretezza che riguarda proprio lo spazio in cui viviamo, le sue costruzioni, le forme e la materia di cui ci circondiamo.
In questo indispensabile lavoro di traduzione l'Arte Contemporanea è il nostro ossigeno, come dimostrano due opere emblematiche, tra le tante di questa biennale. Quella vincitrice, la Lituania, col “padiglione vivente” di una spiaggia affollata in cui i bagnanti si rilassano inconsapevoli di un disastro imminente, e quella altrettanto evocativa, situata all’inizio dell’Arsenale, con l'installazione in cui le parole coraggiose e innovative dei "poeti" che hanno pagato con la prigione o la loro stessa vita il loro fuoco creativo: pile di pagine, le cui parole sono anche declamate nelle tante lingue del mondo, trafitte da una selva di spille metalliche.

by Ilenia Girolami